La licenza di Natale 1963

Nell' approssimarsi del Natale 1963 entriamo tutti in fibrillazione. Ci attendono dodici giorni di licenza, la prima della nostra vita militare.
Sono due mesi che manchiamo da casa, da quel 26 ottobre che ci sembra oramai lontano. Da quel giorno non ho più visto papà e mamma. Fanno eccezione i modenesi,che si contano sulle dita di una mano,e quelli più vicini che hanno avuto la fortuna di una" visita parenti".
Gli affabili Volpe e Martinelli,"famigli" in forza alla terza compagnia, sono subissati da parte nostra di prenotazioni di dolciumi,cotechini,zamponi,lambrusco che vogliamo regalare ai nostri cari( al cadetto non è consentito portare pacchi in libera uscita).
In quei giorni prestiamo più attenzione del solito a non prendere un malanno,ad evitare una storta in ginnastica,a non cadere da cavallo. Se ne accorgono insegnanti ed istruttori che ci vedono a tratti con la mente altrove,trasognati. E per l'occasione si dimostrano comprensivi.
Si susseguono le raccomandazioni dei nostri superiori. Ricordo il tenente Lo Faso che in aula,dopo una serie di avvertimenti, traccia sulla lavagna due rette verticali e parallele sfalsate in altezza, poi un' altra perpendicolare alle prime di cui unisce gli estremi. Si volta e ci chiede cosa ha disegnato. " Una sedia stilizzata", risponde uno di noi. " In verità le tre linee indicano come il cadetto deve stare seduto sulla carrozza del treno: 90° tra schiena e coscia, 90° tra coscia e gambe". Risata generale, anche se l' avvertimento è recepito: evitare di scomporsi o peggio di stravaccarsi durante il viaggio.
Arriva il momento della partenza, anzi delle partenze. Partiamo a scaglioni a seconda delle destinazioni, prima quelli più distanti poi gli altri, con posti in prima classe prenotati dal Comando Scuola.
Qualcuno di noi è preso da una sorta di.......... emozione, che gioca brutti scherzi. Succede a Maurizio Cuscinà che poco prima di salire sul pullman per la stazione si accorge di non avere il cappotto. " Chi ha visto il mio cappotto?... Non fate scherzi, tirate fuori il cappotto......Vi prego, aiutatemi a cercarlo". " Ma vai dal tenente Leonardi, forse lui lo sa", gli suggerisce Salvatore Ghiani. Disperato, si presenta dal tenente; quasi subito lo vediamo uscire dall' ufficio rosso in viso, seguito da una sequela di rimproveri: " Ma come... ma guavda... e io che ne so del suo cappotto... continui a cevcavlo...e si svegli. Senza cappotto non può partire.
In quel momento Giovanni Crifò, pronto per la partenza, dice: “Ma, circa due mesi fa, non avevano fatto un appello all’altoparlante dello studio.” “Chi ha lasciato un cappotto al bar allievi?”
Era successo che Cuscinà lo aveva dimenticato al bar e non essendo mai uscito perché sempre consegnato, non era certo l’unico, per reati di “lesa polvere” o simili, non se ne era mai accorto. E meno male che Crifò aveva ricordato l’appello, perché nel frattempo il cappotto era finito in un magazzino mai visto prima.
Arriva il mio turno di partenza, l'ultimo. Viaggio con i colleghi diretti in Lombardia, Piemonte e Liguria. Verso le sette di sera del 23 dicembre arrivo alla stazione di Savona. Ad attendermi c' è papà, bicicletta con portapacchi al fianco. Mi abbraccia, mi guarda e le sue prime parole sono: " Ma me ctan rangiati" ( Ma come ti hanno sistemato) , vedendomi con quella strana divisa. Ci avviamo a casa, che non è distante. La mamma mi bacia e mi stringe forte. Deve aver sentito molto la mia mancanza; abituarsi non deve essere stato facile. Come la comprendo: sono l'unico figlio. Seduti a tavola parliamo, o meglio sono io che parlo perché ho tante cose da raccontare. Mi ascoltano con tanto interesse, mi sorridono compiaciuti. Papà stappa una " di quelle buone" e mi parla dei suoi ricordi militari del 1935 quando era caporale- capopezzo di artiglieria a traino meccanico (!). La mamma mi chiede notizie sulla salute, sui compagni, su come mi trovo, se mi sono comportato bene. Poi papà si ritira nella sua stanza a
terminare una " velina" di spartito musicale. Oltre al lavoro di ferroviere era compositore e piccolo editore di musica. La mamma, invece, accende la televisione e mi parla di uno sceneggiato a puntate con Alberto Lupo ed Eleonora Rossi Drago, tratto dal romanzo di Cronin "La cittadella". Siamo sul divano, la mamma attenta a non perdere una parola del passionale colloquio tra i due amanti. Piano piano senza accorgermene mi assopisco sul comodo divano, nel calore buono di casa mia. E dimentico il freddo della camerata, le note della tromba, le corse, i rimproveri. Che silenzio, che pace.
Sulle note dei nostri ricordi di quel lontano Natale, giungano a voi i miei auguri più affettuosi per le prossime festività

Pier Gianni Ferrando