IL GIURAMENTO

Il giorno 22 marzo p.v. nel cortile d’Onore, alle ore 10, gli allievi del 20° Corso presteranno giuramento … Mi è gradito di invitare la S.V. al solenne rito con il quale il suo congiunto assumerà il sacro impegno di fedeltà alla Patria”. L’invito firmato dal comandante dell’Accademia, generale di divisione Oreste Viligiardi, viene spedito per posta ai miei genitori. Che mi assicurano per lettera la loro presenza alla cerimonia.
Con cura e impegno ci prepariamo a questo evento, consci dell’importante significato civico e morale che riveste. I nostri superiori non si stancano di spiegarci che dobbiamo arrivare preparati e convinti al giuramento che ci accingiamo a prestare. “E’come quando avete fatto la Prima Comunione e la Cresima.” E chi lo disse? E chi se non lui! … L’asceta tenente Franzolini!
A una di quelle lezioni tenute dal comandante di compagnia assiste il generale Viligiardi che chiede di esprimere un proprio pensiero in merito. Si alza Sardella del terzo plotone che chiede se il giuramento al Capo dello Stato sarà sempre valido anche nel caso che questi diventi un dittatore. E Viligiardi prontamente: “ Domanda pertinente, ricordo che voi giurate sì fedeltà al Capo, ma giurate anche di osservare lealmente le leggi della Repubblica, nata dopo il 25 aprile. E che la lealtà vincola il giurante all’onore e alla dignità personale.” Penso che quella domanda così ad hoc fosse stata concordata dal capitano Civita con l’allievo, sempre attento di far ben figurare la sua compagnia. Viligiardi prosegue nella sua risposta e ci rammenta che quando aveva prestato giuramento( metà anni Trenta) la formula prevedeva la fedeltà “cieca” al Capo, cieca che stava per incondizionata e non “leale” come oggi. E conclude: “ Siatene certi allievi, i tempi sono cambiati ed è un bene per voi”. Il nostro Civita gongola, tutto compiaciuto e soddisfatto.
Nel cortile d’Onore si susseguono le prove della cerimonia. In una prova di sfilamento davanti a Viligiardi, Casalini e ai comandanti di compagnia, perdo il passo poco prima del palco. Sono l’unico ad andare per proprio conto in mezzo al reparto procedendo come uno stantuffo. Me ne accorgo ma non riesco a prendere l’andatura degli altri anche perché vengo intimorito dall’urlo di Civita: “Ferrandoooo!” Che è rimbalzato per tutto il cortile e lo hanno sentito tutti, perfino i famigli. Che figuraccia! Preso in disparte sotto il monumento a Giulio Cesare, vengo così ammonito: “ Se alla prova generale di domani mi farà fare la brutta figura di oggi, la chiudo nello sgabuzzino della fureria e le faccio fare il giuramento a distanza!(sic.). Sta a lei!”
Per fortuna all’indomani la prova va bene. Se no cosa avrei raccontato ai miei? Che mi avevano chiuso in uno sgabuzzino perché non andavo al passo con i compagni?
Quel giorno papà e mamma, insieme a tanta gente, assistono alla cerimonia dall’alto del loggione del cortile d’Onore. Siamo schierati in otto blocchi, quattro di giurandi al centro, quattro di anziani ai nostri lati con la banda dell’Accademia sulla sinistra.
La più alta autorità militare, il generale Giuseppe Aloia, capo di stato maggiore dell’esercito, passa in rassegna lo schieramento, seguito dal gen.Viligiardi e dal col.Casalini, comandante del reggimento allievi. Aloia procede con un portamento distinto, Viligiardi ha un passo più marziale, Casalini, con quel pennacchio bianco che gli svolazza sul Kepì, sembra un colonnello d’altri tempi.
Il protocollo della cerimonia prevede dapprima la S.Messa( senza l’omelia) officiata dal cappellano Don Pietro Santini, coadiuvato dai “chierichetti” Giuseppe Paglialonga e Franco Gautero. Segue l’Onore ai Caduti con il sottofondo musicale della “Leggenda del Piave” e la deposizione della corona d’alloro dalla emerita coppia Alberto Sordi ed Italo Boschetti, entrambi della quarta compagnia.
Ricordo il momento culminante quando il comandante del reggimento legge scandendo le parole la formula del giuramento: “ Giuro di essere fedele alla Repubblica Italiana e al suo Capo, di osservare lealmente le leggi e di adempiere a tutti i doveri del mio stato , al solo scopo del bene della Patria. Allievi del Ventesimo Corso , lo giurate voi ?” Un possente grido all’ unisono “Lo giuro!” di tutti i 375 cappelloni si alza dal cortile, risuona e rimbomba nel loggiato.
La cerimonia prosegue con la sfilata di tutti gli allievi del reggimento davanti alla bandiera dell’Istituto e alle Autorità militari.
Segue la “colazione d’onore” nella grande sala mensa allievi. Prima del brindisi finale il generale Aloia ci rivolge parole di compiacimento per la bravura dimostrata, di invito a proseguire con profitto negli studi e di esortazione a suggellare nel migliore dei modi il bellissimo motto del nostro corso “Meritar sempre e non pretendere mai”. Pensate un po’, noi del Ventesimo siamo stati i precursori di quella meritocrazia di cui oggi tanto si parla. Poi tutti in piedi con la coppa di spumante in mano. E’ ancora Aloia che prende la parola: “Cari allievi, in questo momento così importante per voi, vi invito a rispondere in coro al mio grido, un grido che deve sempre aleggiare nel vostro cuore: “ Viva l’Italia!”. Un poderoso “viva l’Italia” di oltre 700 allievi, anziani compresi, risuona nel salone. Quale emozione, che entusiasmo! Nessuno in quel momento è più felice di noi.
Subito dopo, a comando, si esegue un fronte destro per gli anziani e uno sinistro per i cappelloni. Nel corridoi tra le due schiere passa il Capo di SM. Lo segue Viligiardi, ha gli occhi umidi, ci guarda, ci sorride. E’ evidente che stravede per noi. E noi stravediamo per lui.
Al termine c’è libera uscita per tutti. Per l’occasione il giorno prima sono state condonate tutte le punizioni con “ordine del giorno” del Comando. E’ tradizione che la cosiddetta sanatoria venga attuata solo due volte in un anno, per il Giuramento e per il MAC P 100. Non potrebbe essere altrimenti, fuori: davanti al portone ci sono i parenti che aspettano gli allievi.
Rivedo i miei, un forte abbraccio e tante parole. La mamma mi guarda e mi dice: “Che bello, ma che bello”.Non so se si riferisca a me in quella elegante divisa o alla bella cerimonia. Probabilmente a tutte due le cose. Papà mi parla del suo giuramento del 1935 al reggimento di artiglieria autocarrata a Casale Monferrato. Altri tempi! Come ricordo di quel giorno, conservo una foto con loro in piazza Roma, davanti all’ingresso dell’Accademia.
P.S. : Riflessioni personali a quanto sopra riportato.
Per noi del Ventesimo è stato un momento di grande emozione e di sincera commozione. Ma in quali altri ambienti o manifestazioni di allora si gridava con tanto entusiasmo “Viva l’Italia!”? Nelle scuole?, allo stadio?, nelle festività nazionali del 25 aprile, 2 giugno, 4 novembre? Per non parlare dell’Inno d’Italia. Non lo si conosceva perché non ce lo insegnavano. Per pudore? Per non scontentare qualcuno? Perché non contemplato nella Costituzione?
L’unico mio ricordo per così dire patriottico risale all’età di nove anni, nel lontano 1954, quando fui ammesso alla colonia marina delle FS di Calambrone(Pisa). Le giornate iniziavano nel vasto piazzale della infrastruttura con … l’alzabandiera! Schierati in cinquecento per squadre, ciascuna con l’assistente, davanti a quell’uomo coi baffetti, che chiamavamo il “signor direttore”, cantavamo “Fratelli d’Italia”mentre uno di noi a turno faceva salire la bandiera sull’alto pennone. Poi non l’ho più cantato né sentito cantare. Per anni, molti anni.
E’ stato il presidente Ciampi, alla fine degli anni Novanta, a rispolverare il tricolore, a richiederne l’esposizione in tutti gli uffici pubblici e a parlare timidamente di “Patria”. Anni prima, durante la presidenza Pertini, si era quasi preferito definire la nostra identità con “Paese”.
Ma che smacco nei primi tempi! All’inaugurazione della stagione teatrale alla Scala, Ciampi aveva fatto pervenire l’invito al direttore d’orchestra Riccardo Muti di eseguire l’inno nazionale prima dell’opera. Muti declinò l’invito. Perché, si disse, non era contemplato dal programma. Emulando così Toscanini che nel 1927, sempre alla Scala, presente Mussolini, rifiutò di suonare “Giovinezza”.
Ciampi non disse nulla, ma ci rimase male.
Adesso tutti cantano l’inno, tutti sono in prima fila, perfino entrando a cavallo al teatro Ariston di Sanremo con il tricolore in mano e declamando la sacralità del testo di Mameli. E vogliono far credere che questo sentimento patrio l’anno sempre avuto. Ma per favore! Noi sì che l’abbiamo sempre avuto e conservato anche in tempi difficili! Ricordate gli anni Settanta? Quando alle sfilate urlanti e minacciose che passavano davanti alle caserme, toglievamo la sentinella dalla garitta, sbarravamo il portone e proteggevamo la bandiera all’ingresso. L’unica che sventolava tra tutti gli uffici pubblici.

Pier Gianni Ferrando