LEZIONI DI EQUITAZIONE

Direttore delle Istruzioni di Equitazione è il Ten. Col. Adalberto Cipriani che si avvale del maggiore Vittorio Grasso e del capitano Achille Marino. Ovviamente tutti dell’Arma di Cavalleria. Soltanto alla Scuola di Applicazione di Torino, per cinque anni sul finire degli anni settanta, gli allievi sottotenenti di cavalleria avranno come istruttore il maggiore Edoardo Treselli, ufficiale di Fanteria. Che smacco !
Ma ritorniamo al ventesimo corso in Accademia. L’attività sportiva-militare è intensa; comprende la ginnastica con molta attrezzistica, l’equitazione, il nuoto, la scherma, il judo, il percorso di guerra e l’ardimento.
Di tutte le attività, quella che mi incute più timore e tanto mal di pancia è l’equitazione. Sia per la paura di essere buttato a terra dal cavallo, sia per le sferzanti parole e i grossolani rimproveri che riceviamo dagli istruttori. “Allievo, tiene le gambe flosce come quelle di un frocio! … Le reeedini, tiri più forte le redini! … Ma che mani di merda ha?”. Così, con tale galanteria si distingue il maggiore Grasso, maestro di arte equestre del secondo plotone della 3^compagnia, di cui faccio parte. Niente di nuovo sul campo del maneggio, direbbe qualcuno.
E’ proprio vero, il tempo passa ma la musica non cambia. Lo stesso Nuto Revelli, autore del best seller “La guerra dei poveri”, cadetto a Modena negli anni 1940-41, così ricorda la sua esperienza: “ … Tanta ginnastica che non ci riposavamo da una volta all’altra. Un giorno alla settimana, lunga corsa in bicicletta dalle gomme piene fin sull’Appennino. E lì, breve sosta per inquadramento topografico e tattica sul terreno. In più le lezioni al maneggio, a colpi di frusta, con i cavalli che impazzivano fra bestemmie e invettive varie: stringa le gambe, sembra una vacca era il richiamo più gentile … “
In una foto scattata di nascosto dalla tribuna del maneggio coperto (Ghiani ?) in un giorno di fine febbraio 1964, si vede il nostro Zalla che, rapportino sulla mano sinistra, presenta la “forza” del plotone (25 i presenti) al maggiore Grasso, che ci scruta in lungo cappotto di castorino, stivali di pelle lucida e speroni cromati. Come l’espressione dei nostri volti tradisce la tensione del momento!
Ed ecco partire l’ordine di scuderia: “A cavallooo!”. Saliti in groppa, si va uno dietro l’altro lungo il perimetro del maneggio seguendo un soldato a cavallo che fa da apripista, prima al passo poi al trotto. Quando l’istruttore ordina l’alt con una serie di lunghe “a”, bisogna fermare l’animale tirando le redini. E qui sta il bello: se le tiri piano il cavallo continua ad andare avanti, se troppo forte si può imbizzarrire e qualche volta parte al galoppo. Allora tu non sai a quale santo raccomandarti. Capita che gli altri cavalli, innervositi, se ne vadano ciascuno per proprio conto fin quando tra urla e frustate degli istruttori ritorna la calma.
Quando sono in sella vengo preso dall’angoscia di non riuscire a trattenere il mio “compagno” con le redini o peggio di non fermarlo. Perché il quadrupede improvvisamente cambia umore e andatura? Mah … Forse in quel trambusto di grida si sente stordito e allora, come nell’arena del circo, vuole essere protagonista e non sola comparsa.
E proprio un’altra istantanea sempre di quel giorno immortala uno di quei momenti terribili. E’ appena finito il gran trambusto. Un disarcionato Crifò Cesare Giovanni cerca a fatica di alzarsi dallo spesso manto di umida segatura e guarda un accigliato maggiore Grasso che gli si avvicina e pare sentenziare: “Ma che coglionata ha fatto !”. A fianco si riconosce uno stordito Giorgio Ladillo che accarezza il suo destriero per calmarlo dopo che gli ha fatto provare un paio di testa-coda. Più in là si intravede un paonazzo Antonio Politi che sembra borbottare qualcosa come: “io … io non mi faccio gapace”.
Per fortuna che di lì a poco la lezione finisce e tutti noi inquadrati per tre di fronte e di corsa, con la cartella sotto il braccio sinistro, ci dirigiamo verso una delle aulette dove ci attendono le esercitazioni di analisi infinitesimale.
Ma dopo l’equitazione non c’è la doccia?, chiesi una volta ad un anziano. “Ma cappellone vuole scherzare? Lei marca male! La doccia è stabilita un giorno alla settimana, al sabato pomeriggio, se va bene. Tutt’al più dopo i cavalli avete il tempo di lavarvi le mani, forse.”
Ma l’ora di equitazione non è ancora finita. Prosegue con un cambio di andatura e prove particolari. A volte, lasciate le redini, si eseguono esercizi di ginnastica: mani avanti, in alto,in fuori tutti insieme in tre tempi e guai a chi sbaglia, mantenendo l’equilibrio sulla sella e coordinando il movimento delle braccia con il passo del cavallo.
Che sudate, che tensione! Ma che soddisfazione alla fine quando, puntando le mani sulla sella, si esegue il volteggio delle gambe indietro per scendere a terra con una leggera flessione a piedi uniti, a fianco del cavallo. E allora si accarezza l’animale che buono buono dondola la testa in alto e poi in basso.
Ho cavalcato per due anni sempre lo stesso cavallo. Tito era il suo nome. Ancora adesso gli sono grato per non avermi mai fatto cadere. Sono stato fortunato. Memore dei suoi servigi, ho pensato di cedergli un posto d’onore tra queste righe. Nella pagina accanto una foto in bianco e nero lo riprende mentre porta in groppa chi ha voluto ricordare un momento di quei tempi, ahimè, lontani. Eh sì, sono passati quarantasei anni.
Pier Gianni Ferrando