UN CASO DI DISOBBEDIENZA

“Capelli lunghi,si accomodi … barba incolta, un passo indietro … pantaloni stropicciati, dietro … basette non regolamentari, dietro … capelli lunghi, dietro … scarpe non lucide …”e così di seguito sentenzia il tenente Zignani, ufficiale di picchetto all’adunata per la libera uscita nel cortile d’onore. E’una domenica pomeriggio dell’aprile 1964. Zignani effettua con sguardo severo e passo lento la rassegna passando prima sul davanti delle file dei liberi uscenti, poi dietro con una pignoleria direi maniacale. Secondo “radio gavetta” era stato il capitano d’ispezione Giorgio Strozzi a pretendere “severità, molta severità”nei riguardi dei cadetti.
Fatto inconsueto è che manifesta la stessa pignoleria nei confronti degli anziani, provocando scontento e malumore tra questi, col risultato di contagiare anche i cappelloni, rimasti remissivi e titubanti.
Mai si era vista una falcidia del genere, tale che solo uno sparuto gruppo di cadetti ( quaranta?) può varcare il portone.
Sciolta l’adunata, la massa degli scartati, più di trecento, si allontana incazzatissima. Si formano capannelli, si discute, ci si rammarica per gli appuntamenti andati in fumo; molti si lamentano per essere stati scartati per una inezia o un controsenso: “ma se mi son o fatti i capelli ieri … io le basette le ho portate sempre così … le mie scarpe non sono lucidissime ma sono pulite … mannaggia mi è saltato un bottone scendendo di corsa le scale”. Alcuni anziani escogitano di uscire dalla carraia prospiciente la Fabrizi e ci riescono perché di piantone c’è un solo soldato che, intimorito dal folto gruppo di allievi ufficiali che gli si presentano davanti, lascia libero il passo! Dietro di loro prendono coraggio anche alcuni cappelloni, tra questi Luigi Testini della prima compagnia, Gianfranco Turchi ( 2^), Edoardo Monti (3^). Altri escono dal portone di via 3 Febbraio, sfilando con aria sicura e indifferente davanti al gabbiotto dove il carabiniere perde tempo prezioso a capire che i cadetti di lì non possono passare.
Tutti quelli che rimangono dentro coinvolgono l’autorità dei graduati (istruttori, scelti, capo scelti) su come condurre le rimostranze per quello che è successo. Noi cappelloni siamo esclusi da queste discussioni. E’ una questione che spetta a loro, dicono. La linea d’azione si manifesterà all’adunata generale nel cortile d’onore e al pranzo nei saloni mensa. Sarà clamorosa!
All’adunata serale per il controllo del rientro degli allievi i capo scelti di ogni compagnia presentano la “forza” al capitano d’ispezione. L’esecuzione dell’attenti viene eseguita appositamente in modo fiacco, quasi insolente. Strozzi, rivolto a Luigi Crocetti, capocorso del secondo anno, ordina: “ E’ moscio, lo faccia ripetere!”. Questa volta anche i cappelloni eseguono di malavoglia il comando, talché il risultato è ancora più scadente. Apriti cielo! Il capitano esce dai gangheri: “Che cos’è, un ammutinamento?”. E pur ordinando ad alta voce lui stesso: “Attenti!...riposo!...Attenti!...riposo!” non ottiene il risultato voluto.
A questo punto da una finestra che si apre sotto il colonnato di sinistra si sente una voce nota: “Stozzi, coosa succede?”. Il capitano si precipita sotto la finestra dell’abitazione del comandante dell’Accademia. Silenzio più assoluto nel cortile. “Strozzi, metta in libertà, poi venga da me!”. Siamo lasciati liberi per il pranzo. La tensione non accenna a scendere, rimane pesante nell’aria.
Terminato il pranzo, siamo come da prassi tutti in piedi davanti ai tavoli. Strozzi ordina: “Secondo battaglione in libertà!”, ognuno rimane fermo al proprio posto. Viene ripetuto l’ordine una seconda volta, nessun anziano si muove. Silenzio assoluto e siamo in settecento! Strozzi spazientito, ordina allora: “Primo battaglione in libertà!”. Nessun cappellone si muove anche perché eravamo stati preavvisati. Ricordo in proposito la voce strozzata di Iacopi “fermiii !”. A questo punto il capitano d’ispezione comprende l’antifona e stizzito si allontana con passo svelto dal salone. Con grida di “bravi!...bravi!”e uno scroscio di applausi gli anziani approvano la coraggiosa solidarietà che abbiamo tributato loro. Usciamo dal salone mensa frammischiati, alcuni a braccetto. Non era mai successo.
In camerata qualcuno ritiene che abbiamo tirato troppo la corda. Si temono le conseguenze. Altri non ci pensano. Si spengono le luci, suona il silenzio. “Buonanotte Giorgio”. Bah, temo che ce la faranno pagare”. “Ma va là”, gli rispondo.
Nel pieno della notte si mettono a gracchiare gli altoparlanti: “caffè, caffè! … caffè, caffè, caffè! … caffè, caffè!”( segnale di tromba parodiato nel gergo militare). Si accendono tutte le luci. E’ l’allarme! Succede un gran trambusto. All’ingresso di ogni camerata compare un ufficiale che grida queste disposizioni: “uniforme da combattimento, elmetto, borraccia, maschera antigas, arma…adunata in cortile tra dieci minuti!”. Dappertutto si intrecciano voci, avvertimenti: “presto, fare presto”sono le più ripetute. Il tutto mentre gli altoparlanti continuano a gracchiare. Sono le due! Siamo stati svegliati dopo quattro ore di sonno. “Ma dove andiamo?” “hanno detto in cortile”. Ma se è solo in cortile non c’è da preoccuparci”. Per far presto qualcuno si tiene il pigiama sotto, chi calza pedalini di cotone con gli anfibi, chi si veste poco, chi troppo. Saranno guai e note dolenti in entrambi i casi.
Nel cortile d’onore ci sono tutti gli ufficiali, anche loro in uniforme da combattimento, tranne il generale Viligiardi e il colonnello Casalini. Nessuna spiegazione da parte dei superiori, nessun discorso. Siamo increduli e preoccupati. Inquadramento, presentazione della forza e poi un solo comando ad alta voce: “dalla quinta compagnia, per plotone, guida a sinistra, avanti marsc!”. Usciamo dal portone principale, quello della libera uscita, passando davanti ai due carabinieri impettiti che salutano al passaggio di ciascun plotone.
“Ma dove andiamo?”. Nessun ufficiale ha detto nulla. Si esce e basta. Svoltiamo a sinistra, entriamo in Largo Porta Bologna e prendiamo il lungo viale Martiri della Libertà. Siamo sulla circonvallazione est. Sempre al passo, qualcuno lo perde ma è subito richiamato dal comandante di plotone. Il traffico è quasi inesistente, passa qualche auto, che rallenta; un conducente abbassa il finestrino per capire quello che sta succedendo, ma non osa chiederlo e lo richiude in fretta. Appare un nottambulo che si ferma, incuriosito, al nostro passaggio: ci guarda, sorride ma non sa cosa dire. E’ certo che non capisce. Noi invece incominciamo a capirlo. Inizia a lamentarsi qualcuno: “Perdiana mi fanno male i piedi … mi sono messi i calzini invece dei calzettoni”; un altro: “Sto sudando, mi sono vestito troppo di sotto”. La stanchezza si fa sentire tanto che il tenente Leonardi di volta in volta ci fa riprendere il passo.
Costeggiamo l’ippodromo, percorriamo via Monte Kosica, passiamo davanti alla stazione – l’unico edificio che troviamo illuminato – svoltiamo in corso Vittorio Emanuele, entriamo in Accademia.
Quanti Km abbiamo fatto? Non meno di sei – sette!
Quando ci rimettiamo a letto sono da poco passate le quattro. Alle cinque e trenta suona la sveglia. Ha inizio regolarmente l’attività di ogni giorno, come se nulla fosse successo.
Siamo stralunati, consapevoli del nostro errore. I nostri superiori, comandante in testa, senza dirci nulla ci hanno fatto capire che quel comportamento non è ammesso, soprattutto da parte di allievi ufficiali. Ci sono altri modi per far presente ai superiori eventuali torti o trattamenti ritenuti ingiusti.
E’ stata una lezione esemplare.
Pier Gianni Ferrando