LA GIORNATA DEL CADETTO

La giornata del cadetto è scandita da segnali acustici che si diffondono per tutto il complesso del Palazzo Ducale. Perfino nei bagni! Ciascuno ha un proprio significato: sveglia, adunata, inizio attività (studio, lezioni, sport, addestramento…), termine attività, pranzo, consegnati, picchetto, ritirata, contrappello, silenzio.
La giornata tipo comprende quattro ore di studio obbligatorio e individuale dalle sei alle otto e dalle diciotto alle venti, sabato compreso. In un salone molto ampio, pressappoco di ottanta per venti metri, 375 allievi del ventesimo corso sistemati in banchi a due posti studiano in un silenzio religioso. All’inizio costituisce un problema per chi a casa era abituato a studiare a voce alta. Un ufficiale di servizio siede in cattedra su un pedana posta al centro a ridosso della parete di sinistra per chi entra. Il suo compito è di vigilare sul nostro operato, ogni tanto transitando con passo felpato tra i banchi per sorprendere chi studia con … gli occhi chiusi!
I banchi sono provvisti di un ripiano(“ribaltina”) che sollevato consente di deporre nel cassettone cartella, bustina, guanti, sinossi e materiale didattico. Compagno di banco per tutto il primo anno è Aniello D’Onofrio, di Taranto, figlio di un sottufficiale di Marina, con cui mi lego presto di spontanea e ricambiata amicizia.
Le materie di insegnamento sono quelle previste dal biennio di Ingegneria: analisi 1, geometria 1 e fisica 1 al primo anno; analisi 2, geometria 2, fisica 2 e meccanica razionale nel secondo. A queste si aggiungono le discipline militari: armi, tattica-organica, topografia, storia militare con le attività pratiche connesse: istruzioni di fanteria, artiglieria, genio e trasmissioni. Addestramento al tiro con le varie armi. E dulcis in fundo la ginnastica con tanta attrezzistica, l’equitazione, il nuoto, la scherma e il judo.
Professori universitari si alternano a ufficiali e sottufficiali delle varie armi quali insegnanti, istruttori ed educatori. Il tutto per sette -otto ore al giorno che con lo studio individuale( quattro ore) diventano undici-dodici, sabato compreso. Tempo libero pochissimo, il sabato sera dalle 20.30 alle 23.30, la domenica dalle 14 alle 20 e il mercoledì dalle 18 alle 19.30.
Alle 5.30 suona la sveglia. Quanti accidenti le abbiamo mandato! Solo nei giorni festivi è posticipata alle 7.30. E subito dopo irrompono le voci del personale di servizio: sveglia! Presto giù dal letto! … e lei cosa fa ancora lì, stia punito! Come spalanchiamo i finestroni – così pretende lo scelto Solimene – la nebbia di Modena piano e silenziosa entra nell’ampia camerata dove dormiamo in cinquanta-sessanta. Da precisare che allora le camerate non erano riscaldate. Mi sembrava di essere nelle stesse condizioni del cadetto Giovanni Drogo, il protagonista del romanzo di Buzzati “Il Deserto dei Tartari”, che si lamenta delle “buie sveglie invernali nei cameroni gelati della Scuola ufficiali” dell’esercito russo.
A torso nudo, su esplicito consiglio di Solimene( “è tutta salute!”), corriamo ai servizi dove gli sprovveduti, come il sottoscritto, si fanno la barba con lametta e acqua fredda mentre i previdenti e bene informati ostentano i loro rasoi elettrici. Riordino il letto badando bene che il copriletto sia ben ripiegato e squadrato per la goduria dello scelto Solimene( sempre lui!”) che precisa: “deve essere così piatto che una pallina da ping- pong messa sopra non si muove!?”. Di volata prendo il caffè caldo nel gavettino che uno di noi, a turno, porta su dalle cucine. “Radio gavetta”, quella fonte misteriosa di informazioni e notizie che circolano senza una precisa provenienza, sussurra che il caffè è allungato con bromuro, un antieccitante. “Ma chi ci può eccitare? … Non c’è una donna in tutto il palazzo ducale!”.Una vocina: “Forse lo scelto Solimene?”. “Ma per favore!”. Indosso la divisa e giù di corsa per le scale all’adunata, la prima della giornata.
Tutti schierati nel campo ginnico per la conta dei presenti. Sono le 5,50. I capo scelti anziani delle quattro compagnie, per la nostra Agostino Lupoli, ricevono dagli scelti-istruttori dei tre plotoni le novità relative alla “forza”del reparto (presenti, assenti, chiedenti visita, …
Una di quelle mattine buie di fine novembre, mentre aspettiamo di inquadrarci, sono testimone di un fatto spiacevole. Succede che un allievo non so di quale compagnia viene sorpreso da un istruttore ad orinare dietro il basamento del monumento ai Caduti di Adua. Il poveretto, per la fretta e per tutto quel trambusto del dopo sveglia, aveva finalmente trovato il tempo di liberarsi. E si era appartato in un posto in penombra, pensando di non essere visto. Apriti cielo! Lo intravedo mentre viene accompagnato verso lo stanzino dell’ufficiale di picchetto. Posso immaginare con quale vergognosa motivazione sarà imputato: “sorpreso ad orinare dietro il monumento degli Ufficiali caduti nella battaglia di Adua”. Non l’abbiamo più visto. Il suo tirocinio è finito lì. Dietro a un vecchio monumento.
Subito dopo ha inizio la “reazione fisica”. Che terminologia! Per cinque-sei minuti si corre inquadrati per tre con passo cadenzato per scaldare il corpo e tendere la muscolatura. E’ buio, qua e là fari e lampioni illuminano la scena. Fa freddo. E’ presto, sono le sei. Al di là dell’alta cancellata passano in bicicletta due operai, così sembrano dalla tuta e dal purillo alla “Peppone” che indossano. Un addetto alla pulizia della strada ammucchia le foglie con una lunga scopa. Per un momento si sofferma e sta a guardarci, chissà cosa pensa di noi. Tutto tace, solo noi con i nostri passi cadenzati sul selciato del viale facciamo rumore.
Sopraggiunge il comando: “alt, rompete le righe!”. Si entra nello studio, questo sì riscaldato, detto della “pompa”, cioè dello studio col fiatone perché il tempo è poco e le materie di studio sono tante. Sono caldo ma non sudato, evidentemente gli istruttori hanno dosato bene l’andatura della corsa.
Alle otto termina lo studio obbligatorio del mattino. E’l’ora della colazione. Ci avviamo verso i saloni della mensa allievi. Ci è consentito andare non inquadrati, una delle poche volte durante la giornata. Alle 8.30 ha inizio la variegata attività giornaliera del cadetto.
Le lezioni di analisi, geometria, fisica e meccanica razionale sono impartite da noti professori della università di Bologna. Non ci sono docenti femminili, le pari opportunità erano ancora da venire negli istituti militari. Riguardo a loro i miei lontani ricordi si soffermano sulla personalità e la figura umana di ciascuno, non trascurando quei particolari e quelle caratteristiche che ad un giovane rimangono impresse.
Incomincio dal prof. Fabio Manaresi, titolare di analisi infinitesimale, detta anche “analisi uno”.In completo doppiopetto grigio entra in classe con incedere lento e portamento signorile il professor Manaresi. Posata sulla cattedra l’inseparabile cartella, la apre, prende un testo, ci sorride da perfetto gentleman e … “studiare da pag.174 delle sinossi fino a pag.198, secondo capoverso compreso, tracciate una riga sulle pagine 192, 193, 194, non sono essenziali … però fate bene a leggerle perché sono cultura di matematica pura”. E dopo un sorriso appena accennato, si volta, prende un gessetto e iniziando dalla lavagna murale di sinistra , traccia con mano sicura lunghe dimostrazioni analitiche di astruse asserzioni di matematica.
Giunto alla quarta lavagna ritorna alla prima, uno sguardo indagatore alla classe e : “chiaro, vero … e allora proseguiamo.” Ripulita la lavagna con la spugnetta, ricomincia a scrivere fino all’ultima briciola di gessetto. La spiegazione procede chiara ma il caldo dei termosifoni, l’aria viziata dell’aula con i 180 allievi della terza e quarta compagnia, la voce flebile e l’inflessione monotona del docente provocano a qualcuno uno strano movimento in basso delle palpebre. Per fortuna che ci sono le sinossi!
Terminata la lezione, posati gesso e cancelletto, saluta con un accenno di inchino lo scelto Sisto che gli presenta sugli attenti gli allievi-studenti. Se ne esce dall’aula con il consueto portamento signorile.
Di tutt’altra pasta il professor Ormes(sic.) Quartieri di geometria. Prestante, la voce tonante, brusche le maniere ma di animo buono. In aula è sempre in movimento avanti e indietro, su e giù, giù e su, mai seduto alla cattedra. Ci impone di prendere appunti su di un quaderno, che dovrà essere la nostra “bibbia”. In effetti questo quaderno, andato perduto, era una preziosa sintesi di teoremi e di enunciazioni essenziali per la comprensione della geometria.
Con un tipo così l’attenzione e la concentrazione non vengono mai meno. Però un giorno succede un fatto strano. Il Quartieri nel suo consueto movimento dalla porta alla finestra si blocca davanti a quest’ultima, la voce tace, il suo sguardo è fisso in un punto sulla strada. Quelli di noi più vicini alle finestre allungano il collo per sbirciare fuori. E cosa intravedono? Davanti a un’auto sportiva una appariscente donna in abito rosso guarda in su , verso le finestre dell’aula. Quartieri sorride, si volta e senza lasciar trasparire alcuna sensazione, riprende con la sua voce tonante: “fissata una retta AB tangente nel punto P di un cerchio di raggio pari a ¼ …”. Moglie, amica, amante, … non ne siamo mai venuti a capo e il fatto ha tenuto banco fra noi per molto.
Del professor Gino Goldoni( scusatemi se passo al secondo anno), insegnante di meccanica razionale, eravamo tutti timorosi, in parte per la materia poco piacevole, in parte per il personaggio che ce la rendeva ancora meno piacevole. Quasi sempre in piedi, ci scrutava con occhi severi fino agli ultimi banchi. A volte si spostava da un capo all’altro della pedana con una lunga canna. Con questa era solito disegnare nel vuoto strani movimenti di ruote dentate, doppie catene, semiassi attorno a vincoli … e tutto questo con una voce modulata su diverse tonalità: bassa, compassata, forte, baritonale, stridula, come se volesse farci sentire il movimento di quella macchina immaginaria che la sua mente stava forgiando. Durante le lezioni, per saggiare la nostra comprensione, era solito interpellare gli allievi col diploma di ragioniere perché ritenuti, come sosteneva, “deficienti di preparazione scientifica”chiedendo ad alta voce: “doove sono i ragionieeeri … avete capito? Posso procedere? … Sii, bene … e allora andiamo avanti”. Tutte le volte questi( tre o quattro per compagnia) si dovevano alzare , con plateale risata di tutti gli altri. Riporto di seguito uno stralcio di quanto scritto sul “Numero Unico” da parte di un allievo del nostro corso su di una lezione dell’emerito professore: “ … Pensiamo che in quest’aula dove noi siamo il pavimento ruoti attorno al tubo del termosifone, considerato asse centrale di istantanea rotazione … pensiamo poi a una molla che tenga vincolata la porta che ruota su due cerniere con … coosa fa quell’allievo lassù, nona fila, terzo banco a destra? … al termine si presenti da me!” Poi Goldoni continua imperturbabile: “consideriamo l’allineamento porta-finestra quale asse delle x e la scaletta tra i banchi come asse delle y … ora prendiamo questa sedia e la mettiamo in equilibrio instabile su una gamba …” Resoconto non lontano dall’esposizione concettuale di meccanica relativa in una macchina che produce lavoro, tipica del Goldoni.
Per fortuna che nelle ore pomeridiane sono previste le esercitazioni delle materie scientifiche che sono spiegazioni, chiarimenti oltre a risoluzioni di esercizi applicativi. Sovraintendono a queste lezioni gli insegnanti “aggiunti”. Sono tanti, ventiquattro per 375 allievi del primo anno accademico, pari a un rapporto di uno a quattordici. Non male.
Pier Gianni Ferrando