METTI UNA SERA CON GIN

Vincenzo era certo di farsene una ragione assoluta perchè, pur ripetendosi spesso che le scelte non sempre sono motivate nè casuali, era ormai convinto di aver acquistato quella casa esclusivamente per il giardino. In effetti la sua professione di scapolo, o single come piaceva alle signore indicarlo, lo aveva configurato in modo netto quale aristocratico inquilino di quel monolocale che lui stesso aveva inventato tra le arcate di Palazzo Delle Piane lì nel centro storico a ridosso della Piazza del Duomo. E questo perchè a lui piaceva vivere tra i profumi delle pietre antiche, delle zagare dei giardini chiusi, dei suoi libri e di quell’immancabile computer che si plasmava ai suoi comandi. Ma contrariamente alle aspettative, la vitalità e l’esuberanza di Gin lo avevano condizionato più del dovuto. Ed anche perchè le lamentele di quei vicini non insigniti dell’Ordine della Giarrettiera avevano passato i limiti di una discreta vicinanza e tolleranza. Ed infine poi a lui non piaceva sentire mugugni francesi o essere sopportato con sufficienza. Così, suo malgrado, aveva cambiato dimora ed aveva scelto in un anonimo complesso residenziale quella nuova abitazione che involuti architetti definivano con sussieguoso affetto “ville a schiera con giardino annesso”.
Certamente era proprio brutta e fredda quella casa dalle linee parallele e delimitatrici ma in quel giardino annesso Gin aveva ritrovato il senso puro della sua libertà e vi scorazzava tutto il giorno evidenziando piacevolmente con le modalità naturali il suo territorio privato.
Il tutto era successo nel mese di dicembre di un anno prima quando, ritornando da una delle sue zingarate domenicali, aveva trovato quel cucciolo abbandonato ai bordi di una provinciale con gli occhi spenti e malfermo sulle zampe. Raccolto e messo in macchiana, quell’incerto batuffolo si era posizionato sotto il sedile della suocera con la sola volontà, al caldo, di chiudere gli occhi e dormire. E quasi non voleva essere rimosso quando si arrivò a casa.
I problemi veri però vennero dopo. Tuttavia quello sguardo mieloso, il colore del mantello, il flebile guaito e la cortese simpatia che nacque con quell’essere li fecero risolvere subito.
E lo chiamò Gin, nome breve, durevole nel tempo e quello che più contava era il ricordargli la bevanda alcolica preferita. E fu un connubio perfetto e soddisfacente in specie poi per quell’appropriata ed interessata consulenza che Gin dava sulle diverse ammaliatrici che circolavano di volta in volta in casa. Certo la mamma non gradiva che il suo figliolo continuasse a considerarle alla fine sempre con quell’epiteto. A Gin invece quella ponderazione non importava ed anzi esprimeva positivamente o meno il suo giudizio su di loro in modo sempre fortemente disintetressato. E questo era eccezionale. E così Gin era rimasto li tra le amate mura. Lui sì, le altre no. Anzi continuavano a cambiare spesso secondo le aspettative ed il piacere di entrambi.
Poi ci fu l’avvento dell’ADSL che, per dirla alla Bill Gates, decisamente era superiore al confronto con le bionde o le brune o le rosse poichè mai protestava se qualche volta egli decideva di restare in casa a giocare con il computer per tutta la notte. Grande invenzione l’ADSL, soprattutto perchè non si inalberava mai, non chiedeva armonie a luci di candela e non era gelosa se per caso si fosse trovato a parlare, come spesso faceva, con altre. La sua ADSL infatti sapeva aspettare pazientemente, era comprensiva e poi soprattutto perchè la sua ADSL, ad evitare errori, gli era stata fornita con tanto di manuale di istruzione e di uso. Le altre ammaliatrici mai.
Dunque un lavoro di ingegnere piacevole, una mega attrezzatura computerizzata, solide quattro mura, un giardino necessario e poi Gin stavano a configurare un mondo piacevole e decisamente vivibile.
A movimentare questa acclarata e definita quiete dei giusti fu la nuova vicina di casa, acerba sessantenne in pieno sviluppo d’amore e di ardore per un criceto. Con una imprevedibile ed incredibile mossa da scacco matto, la virago fece realizzare e posizionare, vicino alla siepe delimitatrice dei giardini di competenza, una voluminosa gabbia a più stadi dove trasferì il roditore. Tra Gin ed il criceto nacque subito la nota antipatia del buon vicinato ed anzi difficile si rivelò qualsiasi tipo di dialogo e soprattutto la convivenza e tolleranza poichè ad ogni squittio canzonatorio si rispondeva con furiosi ringhii. E da una parte ci furono vibranti proteste della mai realizzata druda che la diceva lunga sui vari temi ed aspetti in atto sopravanzando il contesto, dall’altra rassegnati e finti richiami all’amico di salotto e di intelletto.
Il criceto così, chiamato con enfasi Filippo, passava il suo tempo tra morbide carezze ed affettuose parole sussurrate dalla garrula e loquace pettegola destreggiandosi poi nella gabbia in corse folli ed incompiute mentre il buon Gin nel contempo era costantemente ed energicamente richiamato al silenzio. Tuttavia nel girare sempre al largo, con gli occhi furbilli e le orecchie tese, Gin in cuor suo era pronto e favorevolmente portato ad architettare i tempi e le opportunità per causare una indolore dipartita all’indesiderato vicino di gabbia a tuttio beneficio della tranquillità del suo territorio.
E ciò avvenne.
Una sera di sabato, di ritorno da una faticosa giornata di lavoro in cui avava dovuto distinguere non pochi momenti tra dubbi ed incertezze sulle qualità intellettuali dei propri colleghi, Vincenzo aprendo il cancelletto di ingresso trovò Gin ad aspettarlo più festoso che mai. Poi, prima che riuscisse a trovare le chiavi di casa ed aprire la porta ecco che Gin, scodinzolante come non mai ed un mefistofelico sorriso negli occhi, gli sbarrò il passo con tra le fauci il criceto irrimediabilmente morto. Vincenzo allibì ed un freddo gelido lo percorse: chi sarebbe stato capace a fronteggiare le contumelie della petulante vicina?
Era necessario fare qualcosa. Una improvvisa idea lo folgorò: ridare momentanea vita al criceto. Così con fare marpione accarezzò la testolina di Gin, lo fece entrare cautamente in casa, dolcemente si appropriò del corpo del criceto con grande disappunto dell’amico di sempre e recatosi nello spazioso bagno, dinnanzi agli occhi curiosi prima ed inorriditi poi dell’amato volpino, incominciò a togliere dal pelo del roditore le diverse tracce di terra e fili d’erba. Fu un lavoro lungo e laborioso. Poi lavò quei miseri resti ed infine pazientemente asciugò con il phon l’intero manto. Un lavoro durato diverse ore, ma il criceto ora era lì quasi vivo con il suo fulgido mantello lanuto al punto giusto.
Di certo non fu una delle migliori serate da passare:una appuntamento telefonico foriero di una piacevole domenica, irrimediabilmente saltato. Tuttavia era felice per aver risolto in modo geniale un eventuale futuro contrasto con la vicina. E così Gin era stato messo fuori discussione.
Poi, allo scoccare della mezzanotte, con il sicuro favore delle tenebre, quatto quatto scivolò accanto alla gabbia del criceto, aprì la porta-grata e depose il corpo vicino alla tana come se stesse uscendo dalla stessa. Poi andò a dormire e fu il sonno dei giusti.
L’indomani mattina Vincenzo fu quasi svegliato da una lacerante sirena che gli sembrò partisse da molto vicino e tra se pensò alla schiocchezza della vicina nel voler portare il criceto dal veterinario e rivoltandosi tra le lenzuola riprese a dormire.
Fu verso mezzogiorno che decise di alzarsi ed uscire in giardino.
Sorpresa, il criceto era ancora lì nella gabbia con il pelo ancora lanuso e gli occhi semidormienti.
Mille pensieri e molte perplessità gli attraversarono la mente sino a quando, incontrando e salutando la graziosa signora Maria Felicia, che abitava la villetta contrassegnata col numero 9, non gli fu chiesto se sapesse cosa era successo alla sua vicina.
Alla negativa risposta, Vincenzo venne a sapere che la signora Dora, poveretta, era stata in mattinata improvvisamente ricoverata presso l’ospedale per infarto.
“Sa com’è stato? Lei, come tutti sappiamo, era innamoratissima del suo criceto. Sabato mattina la bestiolina, ormai in là con gli anni, era morta e la Dora l’aveva voluta sotterrare nel giardino accanto al Tiglio. Ebbene questa mattina, nell’andare a messa si era diretta verso il luogo di sepoltura ed ha trovato la terra smossa. Costernata ha guardato verso la gabbia ed ha visto il suo criceto bellissimo e dormiente vicino alla tana. E’ svenuta e....”
Vincenzo guardò il cielo. Poi guardò Gin e scosse leggermente la testa..
Quindi rientrò in casa arrovellandosi come non mai sul freddo mistero di come la realtà quasi sempre fosse degna di superare di fatto la fantasia.
Michele Dodde